martedì 30 aprile 2013

The World's 50 Best Restaurant

Ieri, 29 aprile, si è tenuto a Londra uno degli eventi più celebri e attesi del mondo gastronomico: The World's 50 Best Restaurant. Questa manifestazione premia i cinquanta migliori ristoranti del mondo e, ovviamente, anche i rispettivi chef.
Ho trovato sul sito ufficiale dell'iniziativa la classifica ufficiale dell'evento: clicca qui per accedervi.

Tuttavia non mi sono fermata alla semplice consultazione della classifica. Sono andata a visitare i siti dei ristoranti dei primi tre classificati, per capire la ragione per la quale essi sono stati pluripremiati da diverse celebri riviste gastronomiche e da altrettanti critici.

Dei fratelli Roca e del loro ristorante El Celler de Can Roca a Girona in Spagna, si dice:
El Celler est un restaurant free style, de cuisine en liberté, engagé dans l’avant‑garde, sans renoncer à la mémoire des différentes générations d’ancêtres de la famille qui se sont consacrées à faire des repas pour tout le monde. 
L’engagement d’El Celler de Can Roca par rapport à la cuisine et l’avant-garde et son lien avec l’académisme l’ont poussé à défendre le dialogue avec l’agriculture et la science, le dialogue total.
Questo ristorante è proiettato verso la cucina d'avanguardia, tuttavia non dimentica la tradizione e le regole accademiche e difende il dialogo che intercorre fra agricoltura e scienza.

Di René Redzepy, proprietario del Noma a Copenhagen in Danimarca, dicono che abbia reinventato la cucina nordica.
Secondo Restaurant Magazine:
Noma è un omaggio alla terra e al mare, un richiamo alla fonte del nostro cibo. Prendete l’antipasto di carotine croccanti provenienti dalla Lammefjorden, una fertile regione danese, servito con “suolo” commestibile, realizzato usando malto, nocciole e birra, e ravvivato dal verde di una crema alle erbe, – state letteralmente mangiando la terra! 
I grandi ristoranti sono una combinazione di cucina raffinata, idee innovative e rispetto per gli ingredienti. Noma è più di questo. E’ un’esperienza che ti ricorda il motivo per cui alcuni ristoranti meritano di essere venerati.
 Invece, secondo la foodwriter Alessandra Meldolesi di Identità Golose:
È una cucina intensamente nordica quella di René Redzepi, chef del Noma, le prime due sillabe del pasto nordico in danese. Ha recuperato tra l’altro l’uso della cenere, trasformandola in spezia, con aromi variabili a seconda del legno di provenienza. Che gusto può avere ad esempio la cenere di vite di Barolo? Il purè di antiche patate gialle locali, cotte al dente, viene servito su una pietra con dadi passati nel vino al miele, a somiglianza di un campo di patate appena arato. E ancora il granchio reale con i porri passati nella cenere, per ottenere un gusto grigliato, con una salsa a base di brodo di molluschi e briciole di pane: un piatto ideale per l’inverno nordico, corroborante quanto basta per le basse temperature. Per finire, un dessert di caramello con un impasto di cenere, yogurt e acqua, tipico anch’esso di un inverno nordico.
Il terzo classificato, invece, è proprio un italiano: il suo nome è  Massimo Bottura, chef dell'Osteria Francescana di Modena.
Quello che propone Bottura è una cucina “informale”, creata rielaborando piatti e materie prime tradizionali e contrapponendo a tradizione e innovazione, arte contemporanea e design.
Si interessa di cucina molecolare e, per questo, nel 2009 Striscia la Notizia lo accusa di far uso di additivi chimici potenzialmente non sicuri. Tuttavia il Nucleo Antisofisticazione e Sanità non trova nessuna irregolarità nella sua cucina e lo chef può continuare a sperimentare e a creare.
Durante l'estate del 2012, poco dopo essersi aggiudicato la sua terza stella Michelin, Bottura chiude l’Osteria Francescana per un breve periodo di rinnovamento, concentrato sulle due principali passioni dello chef: l'arte contemporanea e la cucina avant-garde.

Quindi cos'è che rende uno chef un'icona della cucina mondiale e la fonte d'ispirazione per gli aspiranti cuochi? La voglia di sperimentare, di spingersi al di là, di rompere i canoni convenzionali, di stupire rimanendo tuttavia sempre fedele alla tradizione e alle regole che stanno alla base della cucina.
Perciò, aspiranti cuochi lettori del mio blog, osate, sperimentate e non temete le critiche: qualche volta possono premiare!



sabato 27 aprile 2013

Preparazione, controllo e conservazione degli alimenti

Oggi ho deciso di andare alla biblioteca comunale e consultare alcuni libri di storia della tecnologia per pubblicare, per una volta, un articolo la cui fonte fosse cartacea e non telematica.
Mi sono imbattuta in un grosso manuale che si chiama Storia della tecnologia e, grazie alla lettura di alcune sue pagine, ho scoperto tantissime cose che vorrei condividere con i miei lettori. Per questo, riporto qui i frutti della mia ricerca tratta dal manuale sopra citato pubblicato da Paolo Boringhieri Editore e scritto da Charles Singer, Eric John Holmyard, A. Rupert Hall e Trevor I. Williams. Il volume da cui ho accinto è il terzo, Il rinascimento e l'incontro di scienza e tecnica, pagine 21-24.

Libri di cucina cominciarono a essere pubblicati non molto tempo dopo l'avvento della stampa. Uno dei primi fu l'inglese Boke of Keruynge (sull'arte del trinciare)  del 1508. Questi libri aiutarono a diffondere l'arte di prepare i cibi in modi più raffinati e di cucinare i nuovi vegetali. Vi furono mutamenti anche nel modo di consumare i pasti. Mentre nel Medioevo due pasti giornalieri erano considerati sufficienti, nel sedicesimo secolo non era infrequente il caso di quattro pasti giornalieri. In Inghilterra il pasto principale avveniva di solito a mezzogiorno, seguito dalla cena alle sette o alle otto circa di sera, ma nel diciottesimo secolo gli appertenenti alla buona società consumavano il pasto principale nel tardo pomeriggio, facendolo precedere da una leggera colazione e seguire da un tè. L'uso del cucchiaio si diffuse rapidamente nel sedicesimo secolo. La forchetta (di solito a due rebbi) si usava nel Medioevo per porgere il cibo agli ospiti o ai commensali; più tardi, nel diciottesimo secolo, si diffuse la vecchia abitudine italiana di usare la forchetta per portare il cibo alla bocca. [...] Nel 1651, alla Corte austriaca il cibo ancora si mangiava con le dita, ma non più tardi del 1750 la forchetta era ormai diventata di moda, attraverso l'imitazione del galateo francese. Forchette a tre e a quattro rebbi fecero la loro comparsa nel diciassettesimo secolo. Della stessa epoca è l'uso di fornire coltelli agli ospiti; in passato invece gli ospiti usavano portare con sé coltello e cucchiaio o forchetta. Per secoli ci si era serviti di fette di pane come piatti, ma nel sedicesimo secolo il vasellame da tavola in legno, peltro o terracotta divenne di uso comune. [...] Il vasellame in vetro per bevande divenne comune attorno al 1650.
Alcune nuove invenzioni fecero il loro ingresso nella cucina. Arrostire le carni era una delle operazioni più delicate dell'arte del cucinare e lo spiedo era quindi uno strumento di grande importanza. I primi manuali sulle macchine illustrano girarrosti azionati dalla discesa di pesi, che più tardi diventarono di uso comune. Sebbene molti inventori si dedicassero alla progettazione di girarrosti ad orologeria, per azionare gli spiedi più grandi ci si serviva di un "tamburo" fatto rotare da cani; introdotto intorno al 1650, questo congegno sopravvisse fino al diciannovesimo secolo.
[...] I progressi sui metodi di controllo dei cibi furono lenti, sebbene fosse sempre più sentita l'esigenza di scoprire eventuali sofisticazioni degli alimenti, i quali venivano importati in numero sempre maggiore da luoghi lontani. I primi addetti alla vigilanza del cibo e della salute del pubblico furono i cernitori o "garbellatori" (dall'arabo gharbala, che vuol dire distinguere, scegliere). Essi non avevano alcuna conoscenza dell'analisi chimica e si basavano soltanto sull'apparenza, sul sapore e sull'odore delle merci [...] dunque raramente essi erano in grado di scoprire sofisticazioni meno grossolane.
[...] La gradazione delle bevande più alcooliche venne per molto tempo esaminata per mezzo della polvere da sparo, esame che consisteva nel versare una piccola quantità di liquido su della polvere da sparo e poi nel cercare di accenderla. Se la polvere bruciava, la percentuale di acqua contenuta nella bevanda era considerata sufficientemente bassa. Il liquore a gradazione regolamentare minima avrebbe appena permesso alla polvere di accendersi, nulla più.
[...] Nel corso dei tre secoli che sono oggetto del nostro esame non si ebbe nessuna grande invenzione che riguardasse la conservazione dei cibi. Le vecchie pratiche di salare, essiccare e affumicare i cibi non subirono quasi miglioramenti. Nel tardo Medioevo si ebbe però un'invenzione che influenzò notevolmente la dieta alimentare del quindicesimo e sedicesimo secolo, e cioè un metodo più progredito per sventrare e conservare le aringhe. Per molto tempo il metodo di conservazione delle aringhe era stato quello della salatura, lo stesso usato per altri pesci; questo metodo, tuttavia, non impediva che dopo un po' di tempo le aringhe andassero a male. William Beukels-Fiandre, inventò intorno al 1330 la seguente procedura: vicino alle branchie del pesce appena preso veniva praticata un'incisione, si toglieva parte delle interiora, quindi il pesce veniva salato e prassato in barili. La pesca delle aringhe, per un certo tempo monopolio degli Olandesi, si sviluppò grazie a questa tecnica, che rese possibile il trasporto di tale economico alimento su lunghe distanze.

venerdì 26 aprile 2013

Dal crudo al cotto

Dopo aver parlato a lezione di Vannoccio Biringuccio e del suo trattato sulla metallurgia De la Pirotechnia, ho deciso di approfondire l’argomento legato al fuoco, al carbone e al loro rapporto con la cucina.

Per quanto riguarda la creazione del carbone, all’interno dell’opera di Biringuccio si spiega come il potere calorifico del carbone ottenuto dal carbonio è maggiore di quello del carbone derivante da cellulosa. Attraverso l’uso del calore sviluppato dal primo, era possibile fondere alcuni materiali, fra cui il mercurio, che veniva adoperato nei processi ad amalgama (per esempio per l’estrazione dell’oro).
Navigando in internet mi sono imbattuta in una guida che spiegava, in maniera molto semplice e breve, come produrre “da sé” il carbone di legna. In sintesi (per coloro i quali non avessero voglia di leggere l’articolo per intero) le cose da fare sono le seguenti:




-          in primo luogo fornirsi di molta legna ed una zappa;
-          scavare una buca abbastanza ampia e profonda (ovviamente in base alla quantità di legna che di possiede) e riporvi dentro tutta la legna reperita;
-          inserire delle foglie secche o dei fogli di giornale in diversi punti della catasta di legni e dar loro fuoco;
-          attendere per qualche minuto che il fuoco attecchisca sulla legna;
-          ricoprire la buca con della terra, avendo cura di lasciare alcune (ma non troppe, altrimenti il carbone non si formerà!) prese d’aria che serviranno per far passare il pochissimo ossigeno a sufficienza;
-          attendere ventiquattro ore (circa);
-          riaprire la buca ed estrarre il carbone di legna.
 A questo punto non poteva non formarsi nella mia mente il collegamento con la cucina e, in particolare, come il modo di cucinare si sia evoluto passando dal crudo al cotto.
Sicuramente il passaggio sarà stato dettato dal caso, ma è sorprendente notare come, anche questa volta, la casualità abbia contribuito alla nostra evoluzione: un articolo tratto da “Le scienze” sostiene, infatti, che
l'introduzione della cottura dei cibi, e della carne in particolare, avrebbe avuto un ruolo di primo piano nel garantire la grande disponibilità energetica necessaria allo sviluppo corporeo e cerebrale dei nostri più antichi antenati. Una nuova ricerca ha mostrato infatti che la carne cotta fornisce all'organismo più energia di quella cruda, un risultato di interesse anche per la dietologia.

Articolo pubblicato dalla rivista "Le scienze" in data 08 novembre 2011
Per concludere, rimando all’articolo che, sono certa, farà riflettere anche voi su quanto e come il caso sia, nella maggior parte delle volte, il motore del mondo.

domenica 21 aprile 2013

La cucina in un film

Se dovessi descrivere la cucina con un film, senza pensarci troppo sceglierei una scena di un film che posso di sicuro annoverare tra i miei preferiti: La finestra di fronte di Ferzan Özpetek.
In più il mio riferimento a questo regista mi permette di riportarne una citazione, che trovo molto calzante: egli sostiene che "la sceneggiatura va cucinata". 

Riporto due estratti del film sopra citato, a mio avviso, molto profondi: 






Giuste misure in cucina

Sebbene l'arte non conosca regole, la nascita di ricettari ha reso necessaria l'introduzione di unità di misura che fornissero indicazioni precise a chi accingesse a sperimentare un nuovo piatto.
Tuttavia, accanto alle misure precise e rigorose, trova ancora spazio quella che io chiamerei la "misura dell'artista": il pressappoco
E sì, perché il creatore d'arte vive del proprio gusto e della propria ispirazione e, in cucina, prepara i suoi piatti migliori grazie al quanto basta, secondo gusto, abbastanza, pizzico ... 

Ecco qui una piccola tabella di quelli che sono i parametri di misura in cucina; come vedrete ho tenuto solo le grandezze che davvero vengono utilizzate, perciò le eventuali stranezze saranno volute e non causate da mancanza di conoscenza!

Milligrammo mg 0,001g
Centigrammo cg 0,01g
-
Grammo g 1g
-
Ettogrammo hg 100 g
Chilogrammo Kg 1000g

Millilitro ml 0,001 l
Centilitro cl 0,01 l
Decilitro dl 0,1 l
Litro l
-
Ettolitro ht 100 l
-

Ecco inoltre una tabella di conversione dei principali ingredienti: 

1 cucchiaino contiene:
- 7 ml di liquido
- 7 grammi di burro
- 4 grammi di farina
- 7 grammi di riso
- 5 grammi di sale fino
- 5 grammi di zucchero semolato

1 cucchiaio contiene:
- 10 ml di liquido
- 12 grammi di farina
- 10 grammi di fecola di patate
- 20 grammi di riso
- 15 grammi di sale
- 15 grammi di zucchero semolato

1 bicchiere contiene:
- 100 ml di liquido
- 120 grammi di farina
- 100 grammi di fecola di patate
- 150 grammi di riso
- 150 grammi di zucchero semolato

1 tazza contiene:
- 1/4 di litro di liquido
- 140 grammi di farina
- 120 grammi di fecola di patate
- 225 grammi di riso
- 200 grammi di zucchero semolato
 

Riporto, inoltre, alcune tabelle utili a convertire le misure americane:

Tabella conversione pesi:
½ oz = 10 g
¾ oz = 20 g
1 oz = 25 g
1½ oz = 40 g
7 oz = 200 g
1 lb = 450 g
1 lb =8 oz = 700 g
2 lb = 900 g
3 lb = 1.35 kg

Tabella conversione liquidi:
1 cup = 240 ml
1/2 cup = 120 ml
1/3 cup = 80 ml
1/4 cup = 60 ml = 4 tablespoons (tbsp)
1 tablespoon (tbsp) = 15 ml = 3 teaspoons (tsp)
1 teaspoon = 5 ml (tsp)
1 fluid ounce = 30 ml
1 US quart = 1 litro

Cup da misurare:
1 cup farina = 150 grammi
1 cup zucchero granulato = 225 grammi
1 cup zucchero di canna = 175 grammi
1 cup uvetta = 200 grammi
1 cup riso basmati non cotto = 180 grammi
1 cup formaggio gratuggiato = 110 grammi
1 cup burro/margarina = 2 stick = 225 grammi
1 cup latte = 240 ml
1 cup Yogurt = 250 grammi
1 cup gocce di cioccolato = 160 grammi
1 cup cacao = 120 grammi
1 cup miele = 300 grammi
1 cup polenta = 160 grammi

Nel caso in cui qualcuno fosse interessato all'argomento, riporto di seguito il link di tabelle di conversione davvero accurate e particolari: La cucina di Cuocherella

Curiosità
ONCIA: Storicamente l'oncia è un sottomultiplo dell'unità di misura principale normalmente adottata, tanto che, nell'uso comune della lingua italiana, l'espressione "un'oncia" è sinonimo di "piccola quantità".
Principalmente il termine indica l'unità di misura di massa (o peso) utilizzata in alcuni ambiti commerciali (convenzionalmente si fa riferimento alla libbra), anche se non fa parte del Sistema internazionale di unità di misura (SI).
Il valore di riferimento non è sempre lo stesso, ma varia a seconda dell'ambito in cui si opera.
L'oncia (ounce) è ancora utilizzata negli Stati Uniti, come retaggio del sistema imperiale britannico per misure di massa o di peso. In tale sistema sono stati storicamente attivi diversi riferimenti per la misura del peso. In particolare sopravvive il sistema "avoirdupois" in cui la libbra vale 453,59 grammi e quindi 1 oncia, pari a un sedicesimo (1/16) di libbra (pound), equivale a 28,35 grammi e si indica col simbolo oz.
LIBBRA: La libbra è un'unità di misura di massa o peso di origine romana. Il nome deriva dal latino libra ("bilancia").
La libbra ha avuto valori differenti in diversi paesi ed epoche; attualmente è in uso nel Regno Unito e in altri paesi anglosassoni la libbra inglese (pound), che non fa parte del sistema internazionale.
La coincidenza delle unità monetarie con quelle di peso (es. una libbra d'oro o una libbra d'argento) era comune nel mondo antico. La più antica unità monetaria dell'antica Roma era l'asse librario, un pezzo di bronzo marchiato del peso di una libbra. Da Carlo Magno in avanti la parola libra denotò direttamente una moneta, quella da cui deriva il nome lira. In inglese tuttora la stessa parola pound indica sia la libbra, la cui abbreviazione lb deriva dal latino libra, che la sterlina, il cui simbolo £ è una variazione della lettera L.

sabato 20 aprile 2013

Conservare i cibi

Vi siete mai chiesti come mai i paesi che godono di un clima più caldo sono caratterizzati anche da una cucina più speziata?
Ebbene, questo non è affatto un caso!

In cucina si sa benissimo che tutti i cibi possono essere conservati per un periodo di tempo limitato, perché alterazioni biologiche (inacidimento, putrefazione, irrancidimento) o chimiche (l'azione dell'ossigeno, della luce, del calore) ne alterano la commestibilità.
Gli sviluppi della tecnologia hanno permesso il congelamento e il refrigeramento degli alimenti che, di certo, permettono la loro consumazione in tempi più lunghi.
Ma come facevano gli antichi a conservare i viveri senza il frigorifero ed il congelatore?

Una tecnica era quella di adoperare il sale da cucina: esso, con la sua azione batteriostatica, disidrata i batteri e permette la conservazione di carne, pesci e formaggi per un periodo molto maggiore di quello naturale. Questa tecnica, per esempio, veniva usata dai navigatori per trasportare nelle lunghe tratte le vivande sopra citate.

Un altro espediente consisteva nell'utilizzare l'aceto per la conservazione di verdure e pesci: questo crea un ambiente acido incompatibile con la vita dei microorganismi.

In Oriente, tuttavia, erano le spezie a fornire il metodo più utile per la conservazione dei cibi: le loro proprietà piccanti fungevano da corrosivi per gli agenti patogeni e permettevano di tutelare più a lungo i viveri, soprattutto nei paesi molto caldi.



Proprio per questo motivo, mentre i paesi più freddi potevano sfruttare il clima rigido come "frigorifero naturale", i popoli che vivevano più a sud si adoperarono per la ricerca di mezzi naturali che potessero aiutarli nella lotta contro i batteri degli alimenti.

Ma cosa sono le spezie?
Esse sono semi, frutti, radici, cortecce o sostanze vegetali che hanno anche altri usi oltre a quello della preservazione: in medicina, nei rituali religiosi, in profumeria, cosmesi...

Per farvi percepire la loro importanza e il loro largo uso già in tempi antichissimi, riporto due estratti di una ricerca da me fatta per approfondire la storia di questo articolo culinario: 



In epoca antica l'uso delle spezie era ampiamente diffuso tra gli Egizi, già intorno al 2600 a.C. venivano forniti agli operai impiegati nella costruzione della piramide di Cheope dei cibi speziati, lo scopo era quello di mantenere le maestranze in forze, si riteneva infatti che l'aggiunta di spezie proteggesse dalle epidemie. Nel papiro Ebers (redatto intorno al XVI secolo a.C.) sono descritti numerosi rimedi a base di erbe aromatiche e spezie e fra i ritrovamenti archeologici vi sono tracce di anice, fieno greco, cardamomo, cassia, cumino, aneto e zafferano. Già in quest'epoca la gran parte delle spezie proveniva dall'India.
Nel mondo antico e medievale erano tra i prodotti di maggior valore, che da soli giustificavano l'apertura di nuove rotte commerciali. Ad esempio, nella Genesi (Antico Testamento), Giuseppe viene venduto in schiavitù dai suoi fratelli a mercanti di spezie. Nel poema biblico Cantico dei cantici, il narratore compara la sua amata con diverse spezie. Questo è indicativo della grande importanza assunta da questi prodotti sin dai tempi più antichi.
Le spezie furono il motivo principale per cui il navigatore portoghese Vasco da Gama aprì la rotta per l'India, e furono anche uno dei motivi che spinsero Cristoforo Colombo a cercare una rotta rapida e sicura per le Indie. Colombo cercò finanziatori attratti dalla possibilità di avere nuove spezie da commerciare.
da "Wikipedia, l'enciclopedia libera", alla voce Spezia (alimento)



L’Europa fece vasto uso delle spezie, apprezzandole più di quanto non abbia fatto in età moderna. Le spezie erano considerate un bene di lusso, portatore di ricchezze, e per questo rappresentarono uno dei prodotti commerciali più importanti. Fin dall’antichità il loro


commercio fu molto sviluppato e si vennero a creare itinerari fissi, ben precisi, sia marittimi che terrestri. Tali itinerari furono denominati “via delle spezie”.


La via delle spezie univa l’Europa all’Oriente, poiché dall’India e dalla Cina arrivavano la maggior parte di questi prodotti.


Durante il Medioevo le spezie vissero un vero periodo di celebrità. I nobili le acquistavano per poter ostentare la loro ricchezza a tavola; alcuni uomini di culto ritenevano che le spezie fossero originarie del paradiso terrestre e che quindi avessero poteri miracolosi, altri le percepivano come simbolo dell’effimero e del piacere e quindi come qualcosa di immorale. In ogni caso grandi viaggi furono fatti in nome di questi misteriosi e lontani prodotti, che aprivano mondi nuovi, inesplorati e per questo meravigliosi.


L’Italia ebbe un ruolo importante nel commercio delle spezie prima con Roma e poi con le Repubbliche Marinare, prime fra tutte Venezia. Tutte le spezie provenienti da Oriente passavano infatti da Venezia, e da qui partivano oro e argento per arabi e indiani.


Viaggi come quelli di Marco Polo e di Colombo, ebbero fra gli altri scopi, quello di instaurare un contatto diretto con i produttori di spezie; ciò riusci molto bene al portoghese Vasco de Gama che nel 1498 raggiunse le coste indiane, regalando il monopolio delle spezie al Portogallo.


da http://laviadellespezie.net/

La cucina dell'essenziale

Se dovessi pensare ad un'opera d'arte che mi faccia venire in mente la cucina, di sicuro mi verrebbero subito in mente le nature morte.
I soggetti preferiti di questo tipo di rappresentazioni pittoriche sono oggetti inanimati (da qui l'aggettivo morte) e praticamente tutti i maggiori artisti esistiti fino ad oggi si sono confrontati almeno una volta con questo tipo di esercizio di stile.
Il dipinto che ho scelto perché a mio avviso meglio si ricollegava al tema del mio blog è la Natura morta con cassetto aperto, dipinta nel 1877 da Paul Cézanne.


     Paul Cézanne, Natura morta con cassetto aperto, 1877-1879, olio su tela 33 x 41 cm, collezione privata.

Perché proprio questo quadro?
Innanzitutto perché Paul Cézanne è stato un pittore impressionista (insieme ad altri grandi come Edgard Degas, Édouard Manet, Pierre-Auguste Renoir, Giuseppe De Nittis) e questo è uno dei miei movimenti artistici preferiti.
In secondo luogo perché guardando questo dipinto mi è sembrato che potesse riassumere al meglio quello che io ritengo sia lo spirito dell'arte del cucinare.
Osservandolo molto da vicino, si ha l'impressione che i tratti di pennello siano scollegati fra loro, accostati l'uno all'altro solo per esigenze cromatiche e che nel complesso il disegno non sia perfettamente prossimo alla visione reale. Inoltre il pittore, non facendo uso della prospettiva, rende il quadro bidimensionale e i colori freddi delle pareti, del cassetto, del piatto e del bicchiere rendono l'atmosfera asettica.
Tuttavia una visione d'insieme della tela permette di passare dalla dimensione imprecisa del tratto, all'armonia del tutto. I colori, che visti da vicino sembravano solamente accostati l'uno all'altro, improvvisamente sembrano fondersi insieme per creare un impatto visivo, a mio parere, meraviglioso: il passaggio da una tonalità di colore all'altra (per esempio per i frutti in primo piano) fa immaginare la posizione delle luci nella stanza e, quindi, esso può essere considerato sia come un espediente per conferire profondità agli oggetti sia come un modo alternativo per rappresentare le ombre di questi ultimi.

In cucina succede lo stesso: non parlo dei grandi chef, che si dedicano meticolosamente alla presentazione del loro piatto e sono attenti ad accostare fra loro sapori che nell'insieme forniscono al palato sensazioni sublimi. Parlo della cucina di nicchia, dei pasti preparati dalle nonne e dalle mamme: il poco tempo a loro disposizione lascia che la presentazione passi in secondo piano. Tuttavia, sebbene sembra non esserci coesione fra i cibi serviti, è la percezione di insieme a stupirci: improvvisamente tutto sembra andare al proprio posto, ecco che pasta, carne, sugo, cipolla e olio si uniscono per regalarci il gusto buonissimo della nostra pasta al forno preferita.

Ma, in fondo, l'arte cos'è se non questo? Lo straordinario dietro l'ordinario, la diversità dietro l'omologazione.
L'essenziale è invisibile agli occhi, diceva Antoine de Saint-Exupéry.

mercoledì 17 aprile 2013

La cucina nei monasteri

La pianta dell’abbazia di San Gallo mi fa riflettere sull’importanza che i monaci attribuivano al nutrimento del corpo e alla buona cucina.

Innanzitutto comincio col ricordare che i frati seguivano la Regula monachorum dettata da San Benedetto da Norcia nel 534, la quale prevedeva, oltre all’attività di preghiera, quella di lavoro e di studio. Di conseguenza un convento ben strutturato prevedeva, oltre al chiostro e alla chiesa, la presenza di altre costruzioni necessarie all’autosostentamento del monastero stesso: mulini, orti, scuole, biblioteche, stalle, alloggi…
All’interno della pianta ho, in particolare, evidenziato, con le lettere A-G, specifici locali, al fine di mettere in evidenza come i monaci fossero attenti all’alimentazione e disponessero di diverse fonti di approvvigionamento.
A: orto dei monaci;
B, D, G: locali per la fabbricazione della birra;
C: ovile;
E: porcili (i maiali erano molto importanti perché, essendo onnivori, potevano mangiare anche scarti di cibo umano);
F: stalle.
La loro particolare attenzione al cibo, al reperimento delle risorse alimentari, alla loro gestione e organizzazione ci lascia immaginare che la cucina dei cibi, il bon ton e l’educazione alimentare hanno avuto origine tra le mura dei monasteri e delle abbazie.  
Le comunità monastiche furono le prime a svolgere la doppia funzione di ospedale e ricovero e ad opporre al modello culturale barbarico, ricco ed esagerato, il modello religioso, caratterizzato dalla privazione alimentare. Essa non prevedeva l’assenza, ma la privazione di alimenti che si possedevano; i cibi non utilizzati per via delle restrizioni, tuttavia, non rimanevano inutilizzati, ma erano adoperati per altri fini o serviti agli ospiti e ai pellegrini, che non erano obbligati a seguire le diete ferree e i digiuni imposti dal calendario cristiano.
Esso prevedeva che i monaci mangiassero due volte al giorno, eccetto alcuni giorni della settimana (mercoledì e venerdì) durante i quali veniva servito loro un solo pasto. Inoltre il digiuno veniva esteso anche a periodi interi dell’anno, quali la Quaresima, la seconda metà del mese di settembre (digiuno regularis) e l’Avvento. Tuttavia vi erano alcuni periodi dell’anno (Natale, Pasqua, Pentecoste) in cui ai monaci venivano servite un maggior numero di portate.
Ma qual era lo scopo della rinuncia al cibo? Sicuramente il digiuno era sinonimo di mortificazione del corpo: il religioso, privato in parte del vincolo che lo legava alla materialità, sarebbe stato più vicino a Dio.
Tuttavia, nonostante tutti questi sacrifici, per moltissimi secoli i monasteri sono stati l’unico luogo in cui classi aristocratiche e popolari potessero entrare in contatto (ricordiamo, infatti, che abati e badesse provenivano da famiglie altolocate) e scambiarsi informazioni. I frati, entrando periodicamente in contatto con i popolani, trascrivevano le ricette semplici dei contadini e, a loro volta, fornivano loro ricette di piatti più elaborati, che il popolo preparava durante i giorni di festa.
Così cominciarono a venire prodotti, all’interno degli scriptoria, dei veri e propri ricettari che, col passare del tempo, oltre ad essere arricchiti grazie allo scambio di informazioni fra i vari conventi, venivano mostrati, quando ne fosse stata fatta richiesta, agli alti esponenti del clero che avessero apprezzato particolari ricette servitegli.

Di seguito riporto alcune ricette di origine monastica trovate in rete:
Baccalà del frate Cappuccino
Togliere pelle e lische al baccalà ben ammollato. Tagliarlo a pezzi piuttosto grossi e soffriggerlo ben infarinato in una teglia a bordi alti, sistemando i pezzi molto vicini uno all’altro in modo che non rimangano dei vuoti. Aggiungere alloro, sardelle ben pulite e tritate, pinoli, uva passa, cioccolato amaro grattugiato, una scorzetta di limone, sale e pepe. Ricoprire il tutto con brodo bollente e far cuocere lentamente per almeno 3 ore, avendo cura perché il baccalà non si attacchi di non mescolare ma soltanto scuotere il recipiente. Al termine, cospargere la pietanza di pangrattato e infornarla per il tempo necessario ad ottenere una leggera crosticina dorata.
Servire il baccalà alla Cappuccina accompagnato con polenta gialla molto morbida.

Zuppa di piselli
300 gr. di piselli sgranati
1 cipolla
4 uova
4 cucchiai di parmigiano grattugiato
Sale, pepe e olio
Pane fritto

Fate soffriggere in olio d’oliva cipolla, prezzemolo, sale e pepe, aggiungete i pisellini freschi appena sgranati e brodo quanto basta. Quando questi saranno cotti, se freschi e piccoli la cottura è veloce, aggiungete altro brodo ben caldo mantenendo il tutto a bollore. Nella zuppiera sbattete un tuorlo d’uovo a persona e altrettanti cucchiai di parmigiano, aggiungete i piselli con il loro brodo e trasferite il tutto nella zuppiera. Al momento di servire nei piatti aggiungete dei quadrucci di pane fritto nel burro.