venerdì 31 maggio 2013

Il caffè e storia

La visione di alcuni documentari oggi a lezione, fra cui alcune pubblicità ed estratti del programma storico, che andava in onda sulla Rai negli anni 60-70, Carosello, mi ha incuriosita moltissimo al tal punto che, appena tornata a casa, ho cercato in rete altri video, sempre dello stesso programma, che potessero collegarsi al tema della cucina.
Ho scelto due personaggi celebri del programma: Carmencita e Caballero, per introdurre il tema del giorno, il caffè.


Questa bevanda, così come accade per il tè, ha un'origine davvero antica e immersa nella leggenda. Secondo alcuni studiosi, veniva bevuto ai tempi dell'antica Troia e di Omero. Quello che è certo, tuttavia, è che già dal 1454 nell'odierno Yemen si usava bere il caffè e il suo consumo era consentito dal governo proprio perché questa bevanda ha qualità rinvigorenti, opposte a quelle soporifere del qat (bevanda che era, all'epoca, diffusa su tutto il territorio).
Con la diffusione della religione islamica, il caffè arrivò anche a Costantinopoli (circa nel 1517) e si diffuse ben presto in tutto l'Impero Turco.
Ciò che affascinava, più che il sapore del caffè, era probabilmente il fatto di poterlo sorseggiare in compagnia e in locali la maggior parte delle volte sfarzosi: a Damasco, per esempio, sappiamo che esistevano due lussuosi caffè, il Caffè delle Rose e il Caffè della via della Salvezza; col tempo i caffè diverranno luogo di ritrovo per scrittori, letterati e filosofi.
In Europa la bevanda venne conosciuta solo nel 1615, grazie ai commercianti veneziani che seguivano le rotte marittime che univano l'Oriente con Venezia e Napoli.
Perciò possiamo dire che Venezia fu la prima città italiana a conoscere il caffè: esso, oltre che come bevanda, veniva assunto per le sue proprietà digestive e medicamentose. Il suo prezzo era molto elevato, inizialmente, ma, quando lo Stato capì che poteva beneficiarne attraverso entrate considerevoli, cominciò a consentire l'apertura delle prime Botteghe del Caffè: la più famosa esiste ancora oggi e si trova sotto i portici di piazza San Marco a Venezia, il Caffè Florian.
Purtroppo la Chiesa ostacolò a lungo la diffusione di questa bevanda in Italia, perché la considerava la "bevanda del Diavolo". Fortunatamente Papa Clemente VIII, dopo averla assaggiata, ne rimase così colpito che la battezzò "bevanda cristiana".  
Così i caffè, a partire dal 1683, si moltiplicarono e nacquero altri locali, ora storici, come il Caffè Greco a Roma, il Pedrocchi a Padova, il Caffè San Carlo a Torino e tanti altri ancora.

Oggi conosciamo tantissimi modi di preparare il caffè, non solo con macchine diverse (la caffettiera, la macchina elettrica a cialde o caricata con la polvere) ma addirittura in modi differenti. E non potete neanche immaginare quante siano le varietà!

Caffè espresso, detto anche «caffè normale» in Italia;
Caffè decaffeinato;
Caffè in vetro, è distribuito in bicchierino di vetro anziché in tazzina di porcellana;
Caffè corto: è un espresso molto ridotto, talvolta fino a poche gocce soltanto. Il caffè preparato in questo modo esprime al massimo l'aroma della bevanda ed ha un contenuto di caffeina molto basso. È una bevanda tipica dell'Italia (è quasi impossibile avere un vero caffè ristretto in paesi esteri);
Caffè lungo: è ottenuto con le macchine espresso facendo defluire più acqua del solito. Un caffè lungo, sebbene sia meno denso, contiene più caffeina di quello normale, e ancor più di quello ristretto, proprio perché la stessa quantità di posa di caffè viene «sfruttata» in misura maggiore. Il caffè lungo è considerato il caffè normale negli Stati Uniti e nell'Europa centrale e settentrionale;
Caffè macchiato: si ottiene aggiungendo al caffè una «macchia» (ovvero una piccola quantità) di latte;
Caffè schiumato: è un tipo di caffè macchiato in cui il latte aggiunto è caldo e spumoso;
Caffè corretto: si ottiene dall'aggiunta al caffè espresso di una dose di grappa o altro alcolico o superalcolico;
Caffè Americano: un espresso in tazza grande, a cui viene aggiunto un 60% circa d'acqua, calda o a temperatura ambiente, servita in una piccola brocca a parte. Da non confondersi con il caffè all'americana che non viene preparato partendo dall'espresso;
Caffè napoletano, preparato con la caffettiera napoletana;
Caffè moldavo;
Caffè alla nocciola;
Caffè al ginseng;
Cappuccino;
Mocaccino cappuccino classico, più una piccola dose di cioccolata calda;
Babyccino il cappuccino per i bambini,più piccolo e decorato artisticamente, con schiuma, marshmallow, cacao, ecc.;
Caffè messicano;
Caffè in ghiaccio;
Caffè in ghiaccio con latte di mandorla;
Caffè shakerato, è un caffè con ghiaccio agitato nello shaker;
Caffè d'orzo, si definisce "caffè" in senso lato poiché non utilizza chicchi di caffè nella sua preparazione;
Marocchino si prepara versando nel bicchierino di vetro prima la schiuma del latte e poi il caffè, spesso viene aggiunto anche del cioccolato o del cacao;
Caffè turco;
Caffè doppio lungo;
Caffè doppio ristretto;
Caffè corto con fettina di arancia;
Caffè frappé è un'invenzione greca: i suoi ingredienti di base sono caffè istantaneo, zucchero e acqua; Irish coffee;
Jamaican coffee: è come l'Irish coffee, ma con il rum al posto del whiskey;
Caffè dello studente: è un caffè particolarmente forte usato dagli studenti per rimanere svegli per studiare. Ottenuto un caffè' dalla moka, lo si riinserisce nella caldaia della moka si cambia il caffè nel filtro e lo si rifà;
Caffè alla valdostana;
Café du campagnard;
Caffè brasiliano: si prepara aggiungendo al caffè, panna montata e cioccolato dolce in polvere;
Caffè francese;
Caffè al limone, tipico di Giugliano in Campania si ottiene con l'aggiunta di limone di Sorrento.

Ecco per voi un interessante articolo trovato il rete sul come preparare il caffè perfetto!

E, per finire, un altro documento visivo, a mio avviso, suggestivo: una scena tratta dal film La banda degli onesti





Il fuoco: scoperta e utilizzo

Secondo la mitologia, gli uomini conobbero il fuoco ed impararono ad utilizzarlo grazie a Prometeo, che lo rubò agli dei per amore dei primi.

In realtà, le prime testimonianze dell'utilizzo del fuoco e, soprattutto, del suo controllo risalgono al Paleolitico Inferiore, un periodo che va circa da 2,5 milioni a 120.000 anni fa, da parte dell'Homo Erectus.

Questo evento gode di un'importanza fondamentale nella storia perché cambiò radicalmente il comportamento degli uomini, migliorandone di molto la vita.
Innanzitutto le attività non erano più limitate alle ore del giorno, in cui si poteva godere della luce del sole: grazie al fuoco si poteva godere di una sorta di luce artificiale e continuare a svolgere numerose attività, che prima dovevano essere interrotte appena dopo il tramonto. Inoltre le tribù cominciarono a riunirsi di sera attorno al fuoco, sia per godere del calore che emanava, sia per condividere un momento di comunità.
In secondo luogo, il fumo emanato dal fuoco allontanava insetti mordaci e il fuoco stesso spaventava molte bestie feroci: tenendolo acceso anche durante la notte, gli uomini si sentivano più protetti dai loro attacchi.
Per ultimo, ma assolutamente non meno importante, abbiamo il cambiamento della dieta e il miglioramento della nutrizione: grazie all'assunzione di proteine cotte, la digestione diventava molto più veloce (la carne cruda, infatti, richiede maggior energia per essere digerita rispetto a quella cotta) e in più il calore era in grado di uccidere moltissimi parassiti e batteri che avvelenavano gli alimenti, proteggendo gli uomini da indigestioni oppure malattie.

Col tempo, l'uomo ha imparato a controllare il fuoco in maniera sempre più sofisticata e ha appreso una serie di tecniche che ne permettono l'accensione, a seconda dell'uso che bisogna farne. Chiaramente, grazie alle cucine da interni, esterni e da campeggio, nessuno di noi ha più la necessità di accendere un fuoco. Tuttavia, vi sono alcune comunità, per esempio gli scout, di cui io sono un membro, che abbisognano ancora di queste tecniche per la sopravvivenza durante i campi estivi. Per questo motivo, che in realtà è solo un espediente, ho deciso di inserire il link di un sito scout che elenca tutte le possibili modalità di accensione di un fuoco: clicca qui per accedervi.

Data la mia esperienza in prima persona, vorrei anche fornire una breve e facile guida di come accendere un fuoco a piramide.
Per prima cosa bisogna procurarsi molta legna secca di tutte le dimensioni: per l'accensione serviranno i legnetti piccoli, mentre per tenere il fuoco vivo avremo bisogno dei grossi ceppi.
Innanzitutto cominciamo procurandoci dei vecchi fogli di giornale: dobbiamo appallottolarli e porli al centro del nostro fuoco. Successivamente, con la legna molto piccola, andremo a costruire una capannina giusto intorno alla carta, lasciando delle prese d'aria per favorire l'apporto di ossigeno al fuoco e tenendo aperta la parte d'avanti, dove andremo ad inserire il primo pezzo di carta infuocata, che ci consentirà di accendere il fuoco.
Quando il fuoco avrà attecchito sulla piccola legna, dobbiamo continuare ad aggiungerne altra (sempre secondo la capannina) e soffiare, di tanto in tanto, per favorire l'attecchimento. 
Man mano che la legna brucia, possiamo continuare ad aggiungere altra legna, accrescendo sempre più le dimensioni dei ceppi che andiamo ad inserire.
Nel momento in cui siamo sicuri che il fuoco abbia preso, possiamo mettere i ceppi più grandi che ci permetteranno di godere per un periodo più prolungato del calore del fuoco e garantiranno a colui che si occupa del fuoco di distrassi più spesso: ormai il fuoco è acceso!

Continuando a parlare di scoutismo, una modalità di cucina essenziale che gli scout adoperano è la cucina trapper (o trappeur). Questo metodo prende il nome dai trapper, che erano degli esploratori del nord America del XVIII e XIX secolo. Dato che avevano bisogno di bagagli leggeri, eliminavano dai loro zaini tutti gli attrezzi da cucina e usavano per cucinare ciò che la natura gli forniva. Ancora oggi questa tecnica viene usata quando non si hanno a disposizione né utensili da cucina né fornelli e si è all'aperto, soprattutto, appunto, da noi scout.
Per farvi capire di cosa sto parlando, ecco di seguito due link: il primo vi farà capire cosa effettivamente possiamo creare con tutto quello che l'ambiente di offre, il secondo fornirà ai curiosi (e magari anche a chi abbia voglia di sperimentare) alcune ricette di cucina trapper.

Utensili cucina trapper
Ricette cucina trapper
Altre ricette cucina trapper

Concludendo, ricordo che il fuoco, nonostante sia un elemento molto affascinante, esso è anche molto pericoloso. Proprio per questo sono stati inventati e brevettati diversi strumenti per sopprimerlo. In rete ho trovato la decrizione dell'invenzione di Benjamin Adair Munro, che ha brevettato il fire suppressor: clicca qui per andare al brevetto.



mercoledì 29 maggio 2013

Cucina e riciclo

Panta rei diceva Eraclito, tutto scorre, tutto si disperde e si ricompone di nuovo, tutto viene e tutto va. Certo, magari lui non pensava proprio all'etica del riciclo e, chissà, magari neanche immaginava di arrivare nel lontano 2000 d.C.!

Bene, oggi ho deciso di affrontare un argomento che, a mio parere, va a braccetto con la cucina, perché è proprio in questo luogo che avvengono i maggiori sprechi e, soprattutto, è proprio qui che si potrebbe fare più economia e puntare al riutilizzo delle materie prime (e non) comprate ma non utilizzate.
Comincio facendovi vedere questo video molto stimolante:


Io non ci avevo mai pensato, ma avete visto quante cose si possono creare semplicemente utilizzando vecchi cartoni delle pizze?
Un ripiano dove appoggiare il computer portatile, una cuccia per il gatto, il flash per la macchina fotografica, un gioco da tavola e ancora un orologio per insegnare ai bambini a leggere le ore, una lavagna per i disegni e tanto altro ancora!
Ecco il sito web inglese dove potete guardare e imparare a costruire tutti questi attrezzi del riciclo: clicca qui.

E adesso, invece, parliamo di riutilizzo degli ingredienti e sopratutto di sprechi in cucina.
Sapevate che, in media, ogni famiglia italiana spreca il 7% della propria spesa alimentare? E non parlo di pochi euro: ogni anno buttiamo nella pattumiera insieme a prodotti freschi andati a male, tipo pane, frutta, verdura, anche 480 euro, che sono serviti per acquistare tutti i beni non consumati.
Non vi sembra paradossale in un periodo di crisi come questo? Eppure è così.
Inoltre lo spreco non riguarda solo il cibo e il denaro, ma anche il tempo di chi ha lavorato per produrre quei prodotti, la terra e l'acqua usate per produrli, trasformarli e distribuirli.

L'ideale sarebbe acquistare solo il necessario e nelle quantità che siamo certi di riuscire a consumare entro la data di scadenza, surgelare i prodotti che sappiamo non andremo a consumare nell'immediato o gli avanzi, conservare la carne e il pesce nella parte intermedia del frigorifero (se andremo a consumarli entro un paio di giorni), la verdura nella parte bassa e la frutta a temperatura ambiente.

Tuttavia capita spesso di avere degli ospiti a cena e di trovarsi un sacco di avanzi in frigorifero; oppure dopo le grandi feste, tipo il Natale o la Pasqua, quanta roba non riusciamo a consumare?
Se pensate di non avere idee, io ho cercato di riassumere di seguito tutti i miei consigli su come ricreare delle bontà da cibo che stavate destinando alla spazzatura. Di seguito, inserirò anche dei link di alcuni siti di ricette che potrebbero darvi altre idee per non buttare alimenti e denaro!

Vi è avanzato del pane?
Se è diventato duro potreste conservarlo in una busta di carta e utilizzarlo, dopo averlo spezzettato, per farne dei crostini da mettere in una minestra calda di verdure o di legumi. Oppure potreste frullarlo finemente e farne del pangrattato. Se vi piace, potreste inumidirlo con dell'acqua e condirlo con pomodoro, olio, sale e quello che più vi piace ed usarlo come antipasto o come cena frugale, nel caso abbiate poco tempo a disposizione per cucinare.

Vi è avanzata della pasta?
Si possono fare con la pasta al sugo o in bianco delle ottime frittate di pasta: basta aggiungere dell'uovo e del parmigiano e friggere tutto in una padella antiaderente: vedrete cosa ne verrà fuori! Inoltre, se avete tempo da "perdere" ai fornelli, col riso avanzato potete fare degli arancini.

Vi è avanzata della carne?
Se la mettete in padella con delle patate o verdure, potete donarle nuovo sapore. Il pollo può essere utilizzato in delle gustose insalate, l'arrosto o il roastbeef in zuppe di verdure.
Inoltre, anche le ossa della carne possono essere usate, ad esempio per insaporire un brodo vegetale.

Vi sono avanzate delle verdure?
Se sono ormai mollicce e hanno perso la loro freschezza e fragranza, non buttatele nella spazzatura: se le mettete in un sacchetto di plastica (tipo quelli Cuki) potete poi usarle per fare del brodo vegetale.

Vi è avanzato del formaggio?
Il parmigiano o il pecorino avanzato potete sempre grattugiarlo e tenerlo nel surgelatore: tirandoli fuori un po' prima di servirli a tavola, conservano tutto il loro sapore e sono ottimi sulla pasta. In più, se avete anche le scorze, tagliandole dal resto del formaggio, potete usarle per insaporire brodo, minestrone, minestre e zuppe.

Vi sono avanzate delle bevande?
Il vino può essere usato nella preparazione di risotti e nella cottura della carne, il caffè è buonissimo anche freddo (soprattutto d'estate), il vasetto che contiene ancora un po' di miele, a seguito dell'aggiunta di un po' di limone, diventa un ottimo dolcificante per tè e tisane.

Vi è avanzata della frutta?
Se la tagliate a pezzetti, la condite con limone e zucchero oppure anche con un po' di liquore, diventerà un'ottima macedonia!

Vi è avanzato pandoro, panettone o uova di cioccolato dalle feste?
Col cioccolato fuso si possono fare un sacco di torte e dolci, mentre con pandoro e panettone gustosi dolcetti stile tiramisù.

E la polenta?
D'accordo, io non sarò proprio un'esperta, ma so che affettata e grigliata oppure passata in padella con burro o formaggio o ancora condita come una pizza è buonissima!


Vuoi saperne di più?
Clicca qui per sapere quanto puoi ancora fare per aiutare le tue tasche e l'ambiente intorno a te!

Hai voglia di sperimentare nuove ricette con gli avanzi?
Questo sito può darti tantissime idee!

Se poi sei così legato e attento all'ambiente come lo sono io, potresti dare un'occhiata a questo blog: Technology and Garbage !


Miseria e nobiltà

Credo che uno dei capolavori del cinema italiano che fornisce un'immagine, culinaria e non, cruda ma esilarante dell'Italia degli ultimi anni del Ottocento sia Miseria e Nobiltà, un film del 1954 diretto da Mario Mattoli, tratto dall'opera teatrale omonima di Eduardo Scarpetta del 1888.
Ho deciso di pubblicare la scena che mi è subito venuta in mente quando ho pensato al film e al tema del mio blog e che, penso, venga in mente anche a voi se lo avete visto almeno una volta.


lunedì 27 maggio 2013

Il terribile botulino

Qualche giorno fa ho letto sul giornale una notizia che ha coinvolto un ragazzo del Politecnico di Torino, fra l'altro pugliese come me.
Questo ragazzo, Davide è il suo nome, è finito in ospedale a causa di un'intossicazione da botulino, per aver mangiato delle rape stufate sotto vuoto mal conservate, speditegli dai parenti.

Ma, che cos'è il botulino?
La tossina botulinica è una proteina neurotossica prodotta dal batterio Clostridium Bitulinum. Essa è fonte di grave avvelenamento alimentare soprattutto nel caso in cui si consumino preparati a base di carne o pesce oppure conserve contaminate, tipo fagiolini, zucchine, spinaci, piselli, granturco, asparagi, pepe di Caienna, sottaceti, olive, fichi, albicocche, pesche, funghi.
 È una delle sostanze più tossiche conosciute fino ad ora: le sue spore si riproducono e moltiplicano all'interno degli alimenti conservati in modo non idoneo, nella fattispecie in ambiente anaerobico, quindi in mancanza d'aria e a temperature che vanno dai 3 ai 30 gradi ed è resistente ai succhi gastrici.
Una volta ingerito, questo batterio porta a una progressiva paralisi muscolare, a volte anche dei muscoli respiratori, in quanto agisce sul sistema nervoso e alle volte provoca anche la morte, se l'intervento di soccorso non è tempestivo.
La proliferazione di questo batterio è riscontrabile analizzando visivamente le nostre conserve, in particolare:
la frutta e gli ortaggi si presentano molli e rancide;
l'odore degli alimenti è putrido;
il liquido di conservazione diventa torbido;
la capsula del barattolo si gonfia.

 Il problema fondamentale del botulino è che uno dei ceppi del batterio (nello specifico il ceppo di tipo E) non elabora enzimi proteolitici (cioè enzimi coinvolti nella digestione proteica) e i cibi possono avere un aspetto e un sapore gradevole, pur contenendo elevate quantità di botulino. Per cui in caso di dubbio sulla bontà delle conserve che stiamo per consumare, è sempre meglio gettarle piuttosto che correre il rischio.
Infine le spore si sviluppano difficilmente in ambienti con un'acidità inferiore al pH 4,6, non trovano condizioni favorevoli in ambienti ricchi di sale, zucchero e limone; non si sviluppano nell'aceto. In ogni caso, la cosa più importante durante la preparazione delle conserve è adoperare utensili perfettamente puliti e, se possibile, è consigliabile far bollire le conserve per almeno 10 minuti a 80 gradi.

Fonti: Quotidiano di Puglia.itTossina botulinicaBotulismo

venerdì 17 maggio 2013

Giro del mondo in 26 colazioni

Vi siete mai chiesti come fanno colazione negli altri paesi di tutto il mondo?
Io da appassionata del settore sì.
E a questo proposito posto un link mondo interessante, ricco di fotografie e davvero molto breve pubblicato da Repubblica D.

Manca però la colazione tipica italiana, quindi mi sento in dovere di fare una piccola aggiunta a questo articolo.

Secondo me ognuno di noi ha la "sua colazione": quella che fa cominciare bene e dà la carica per iniziare l'intensa giornata lavorativa e di studio.
C'è chi prende solo il caffè, chi lo accompagna con il latte, chi ci aggiunge anche qualche biscotto o una buona fetta di torta. Chi preferisce una sana spremuta, chi un succo di frutta, chi una fetta biscottata con della marmellata fatta in casa, chi invece non ne vuole proprio sapere e si accontenta di un frutto fresco o di uno yogurt al naturale.

Per quanto mi riguarda, io non riesco a cominciare bene la giornata senza la mia tazza di yogurt bianco con i cereali, un frutto e un bel bicchiere di acqua fresca.

Insomma avete capito: non esiste una colazione standard, che metta d'accordo tutti. Forse, l'unica cosa che ci accomuna, è l'abitudine della colazione dolce.
Ma, in fondo, perché limitarsi? Ad ognuno il suo menù preferito, per partire al massimo, con un bel sorriso sulle labbra!







Vi lascio, ora, il link dell'articolo e auguro a tutti una buona lettura e, a questo punto, anche una buona colazione!
Chi ben comincia: giro del mondo in 26 colazioni


Milano Food Week

Per tutti gli amanti del cibo e della cucina, segnalo un evento che avrà luogo a Milano dal 17 al 25 maggio: sto parlando della Milano Food Week.
Ecco qui il sito ufficiale con il programma della settimana Milano Food Week e, di seguito, un articolo interessante edito dal Gambero Rosso, sempre su questo evento milanese: Clicca qui per andare all'articolo

Mappa della cucina italiana

Oggi ho trovato in rete due mappe: mi sembrano molto interessanti perché permettono di farsi un'idea di quali prodotti caratterizzano le singole regioni italiane.




Se vi state chiedendo cosa siano le seadas sappiate che, come potete osservare dalla mappa, sono un dolce tipico della Sardegna. In particolare, sono delle piccole frittelle di semola con un cuore di formaggio e miele.
Ne esistono due versioni differenti: la prima che prevede il ripieno di formaggio fuso, ed è poi quella classica, ed una seconda, detta "a sa mandrona", farcita con formaggio crudo.




Ecco qui una seconda mappa, quella dei vini italiani.

mercoledì 15 maggio 2013

Focaccia: quale sarà quella vera?

Quando, dopo la messa, entravamo a dire a Théodore di portare una focaccia più grossa del solito, perché i nostri cugini, approfittando del bel tempo, venivano da Thiberzy a far colazione con noi, avevamo dinanzi il campanile, che, dorato e cotto anch'esso quasi una più grande focaccia benedetta, con scaglie e stille gommose di sera, infliggeva la punta acuminata nel cielo azzurro. 
Marcel PROUST, La strada di Swann , Torino : Einaudi editore, 1998, pagina 71.

 Mentre leggevo, il mio occhio non poteva che cadere sulla parola "focaccia", piatto tipico della mia regione e, in particolare, della mia città: Bari.
In realtà, è impossibile dire dove sia nata la ricetta di questo piatto, perché ogni paese e, addirittura, ogni famiglia, ne rivendicano l'originalità. In più, spostandosi da un paese all'altro, se ne trovano tante varianti.
Nel leccese, ad esempio, la focaccia è semplice, senza condimento, mentre è la puccia ad essere condita: con le olive nere oppure con il pomodoro e la cipolla. Tuttavia la seconda assomiglia più ad un panino, mentre la focaccia è più simile ad una pizza.
A Bari la tipica focaccia è preparata con del semplice pomodoro. Anche qui però vi sono diverse varianti: c'è chi ci aggiunge dell'origano, chi ci mette anche le olive verdi o chi, addirittura, la prepara con la salsa di pomodoro invece che con i pomodorini.
Ad Altamura, invece, la focaccia è preparata con pomodoro e cipolla, mentre è di Barletta quella con la salsiccia o la mortadella e la mozzarella.
Poi c'è chi la prepara molto spessa, chi invece la fa molto sottile...
Insomma, avete capito che ognuno ci mette del suo e condisce con quello che più gli piace, semplicemente perché le origini di questo piatto sono povere, di conseguenza tutti gli avanzi erano buoni per insaporire l'impasto.
Una curiosità, legata alla tradizione che si scontra con i colossi della globalizzazione, è la vicenda legata ad un piccolo fornaio della città di Altamura.
Nel 2001 in questa città venne aperto un ristorante Mc Donald's; poco più avanti, sempre nello stesso periodo, i fratelli panettieri Di Gesù, aprono una focacceria. In seguito a diverse battaglie e quando il caso suscitò addirittura l'interesse di un giornalista americano, il Mc Donald's fu costretto a chiudere: i prodotti pugliesi avevano avuto la meglio!
Questa vicenda è diventata la trama di un film di Nico Cirasola: Focaccia blues.

Tornando alla nostra focaccia, chi meglio di una pugliese può darvene la, anzi una, ricetta?

Ingredienti:
 1 cubetto di lievito di birra da 25 g
1 patata di medie dimensioni bollita acqua tiepida
1 cucchiaio di olio
500 g farina 00
sale
1 cucchiaino di zucchero

 Per la farcitura:
 olio qb
 pomodorini ciliegino qb
origano qb
sale qb

Preparazione:
Innanzitutto lessate la patata, poi quando è cotta ed è ancora calda, spremetela con uno schiacciapatate sopra la farina, disposta a fontana su una spianatoia. Sciogliete il lievito in poca acqua e versatela al centro della farina, aggiungendo lo zucchero. Cominciando a impastare, aggiungete l’olio e poca acqua alla volta finché non otterrete un impasto morbido e poco appiccicoso.
Lavorate ora la focaccia fino a che non sarà più appiccicosa.
Infarinate il piano di lavoro, mettete l’impasto sulla farina e coprite con un canovaccio umido. Lasciate lievitare per 2 ore.
Nel frattempo lavate e tagliate a metà i pomodorini e conditeli con il sale, in modo che rilascino
la loro acqua.
Prendete l’impasto e apritelo sulla teglia oliata, disponete sopra i pomodorini con la parte tagliata verso l’alto, esercitando una leggera pressione per farli entrare nell’impasto, poi mettete origano, sale e abbondante olio.
 Accendete il forno e preriscaldatelo a 200°C. Infornate per mezz’ora in modalità statica e servite calda.
Buon appetito!





Marcel e le Madeleine

Qualche giorno fa ho pubblicato un estratto del libro La strada di Swann (clicca qui per andare all'articolo) menzionando un famoso dolce francese: le Madeleine.
Si dice che il nome di questo tipico dolce francese, la cui forma ricorda quella di una conchiglia,  derivi da Madeleine Paulmier, una pasticciera del XIX secolo. Tuttavia, nonostante la curiosità, un'informazione certamente attendibile che posso darvi, è quella della città di origine delle Madeleine: Commency, nel nord-est della Francia.
Questo dolcetto è talmente legato alla sua nazione, che durante l'iniziativa Cafè Europe, indetta dall'UE nel 2006, venne scelto per rappresentare la Francia.

Ci tenevo particolarmente a pubblicare la ricetta di questi biscottini, sia per coloro i quali avessero voglia di assaggiarli, senza aspettare un viaggio a Parigi, sia per lasciarvi un ricordo visivo di questi piccoli plum cake.

Ricetta Madeleine

Bon appétit!

martedì 14 maggio 2013

Ricette molecolari

Giusto per confermare l'idea di tutti coloro i quali ritengono che dietro ad ogni cosa che ci circonda ci sia molto di più, che dietro a tutto il visibile si nasconda un invisibile infinito, oggi ho deciso di parlarvi di cucina molecolare.
Di cosa si tratta?
La cucina molecolare è "una disciplina che studia le trasformazioni che avvengono negli alimenti durante la loro preparazione ed ha quindi fra i suoi obiettivi quello di trasformare la cucina da una disciplina empirica ad una vera e propria scienza". (<http://it.wikipedia.org/wiki/Gastronomia_molecolare>)
Questa disciplina nacque alla fine degli anni Ottanta per opera di un fisico-gastronomo Hervé This e di un premio nobel per la fisica Pierre-Gilles de Gennes.
In Italia lo studioso di maggior spicco è Davide Cassi, del Dipartimento di Fisica dell'Università di Parma. Nel 2003 lui ed il cuoco Ettore Bocchia hanno redatto il Manifesto della Cucina Molecolare Italiana, che tende a preservare i sapori tradizionali italiani.

Dopo questa breve premessa passo ad illustrarvi di cosa si occupa praticamente questa scienza. In particolare, metto di seguito il link di un articolo che ho letto proprio oggi sulla rivista Le Scienze, che mi ha dato l'ispirazione per il post di oggi.
Buona lettura e...buon appetito!

Le ricette scientifiche: la cacio e pepe



lunedì 13 maggio 2013

Storia del tè e Cha-no-yu

“La prima tazza mi inumidisce le labbra e la gola, 
la seconda rompe la mia solitudine, 
 la terza fruga nelle mie sterili viscere per scovarvi migliaia di volumi di strani ideogrammi. 
 La quarta tazza provoca una leggera sudorazione – tutto il male della vita stilla dai miei pori. 
 Alla quinta tazza, eccomi purificato; 
 la sesta mi conduce nel regno degli immortali. 
 La settima – ah, non potrei berne ancora! 
Riesco solo a sentire il soffio di un vento fresco che alita nelle mie maniche. 
 Dov’è Horaisan?*
 Lasciatemi cavalcare questa dolce brezza che mi trasporterà laggiù!”
Lu T'ung

*Horaisan è una delle mitiche isole del mare orientale considerate sede degli Immortali; ricorre frequentemente nel folklore letterario cinese e giapponese.


Ho deciso di andare più affondo circa l'argomento tè trattato in precedenza, sia perché ho scoperto avere una storia davvero antica e sia perché è proprio grazie ad una calda tazza di tè e ad un pezzo di maddalena che Marcel, protagonista de La strada di Swann di Marcel Proust, comincia il suo viaggio attraverso i ricordi della sua infanzia:

Erano già molti anni che di Combray tutto ciò che non era il teatro e il dramma del coricarmi non esisteva più per me, quando in una giornata d'inverno, rientrando a casa, mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di prendere, contrariamente alla mia abitudine, un po' di tè. Rifiutai dapprima, e poi, non so perché, mutai d'avviso. Ella mandò a prendere una di quelle focacce pienotte e corte chiamate maddalenine, che paiono aver avuto come stampo la valva scanalata d'una conchiglia di San Giacomo. Ed ecco, macchinalmente, oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d'un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzo di maddalena. Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso m'aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. M'aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità, la sua brevità illusoria, nel modo stesso che agisce l'amore, colmandomi d'un'essenza preziosa: o meglio quest'essenza non era in me. era me stesso. Avevo cessato di sentirmi mediocre, contingente, mortale. Donde m'era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo ch'era legata al sapore del tè e della focaccia, ma la sorpassava incommensurabilmente, non doveva essere della stessa natura. Donde veniva? Che significava? Dove afferrarla?
Marcel PROUST, La strada di Swann, Torino: Giulio Einaudi editore, 1998, pagine 49-50


Faccio riferimento ad un libro di Jane Pettigrew che costituisce una vera e propria guida del tè, Tè. Guida al tè di tutto il mondo:

Secondo un’antica leggenda cinese, un avvenimento occasionale occorso all’imperatore Shen Nung nel 2737 a.C. sarebbe all’origine della nascita del tè.
Si potrebbe dire: “tutta colpa di Eolo!” Vediamo perché.
Un giorno del lontano 2737 a.C., l’imperatore Shen Nung era seduto all’ombra di un arbusto selvatico del tè, mentre accanto a sé, sul fuoco, bolliva dell’acqua. Infatti l’imperatore, noto studioso ed erborista, era attentissimo all’igiene ed usava bere solo acqua preventivamente bollita. All’improvviso una folata di vento scosse i rami dell’arbusto del tè, lasciando cadere delle foglie nel contenitore dell’acqua che bolliva. L’infuso che casualmente venne a generarsi, fu assaggiato da Shen Nung, il quale lo trovò squisito, energizzante e rinfrescante. Così fu scoperto il tè.
Tuttavia risalgono solo al III secolo a.C. i primi documenti scritti cinesi che attestano la conoscenza della bevanda tè: è nota la prescrizione di un famoso medico cinese che raccomandava la somministrazione di tè per aumentare la concentrazione e l’attenzione; inoltre è pervenuto uno scritto di un generale dell’esercito cinese che chiedeva ad un suo nipote di inviargli del vero tè per rimediare alla depressione da cui si sentiva oppresso. 
Fino al III secolo d.C. il tè venne usato solo come medicamento tonificante ed era preparato utilizzando foglie provenienti da alberi selvatici di tè. Solo in seguito iniziò la coltivazione di cespugli di tè da parte di agricoltori industriosi che volevano effettuare regolari raccolti per far fronte alla crescente richiesta; si svilupparono e perfezionarono, inoltre, tecniche di essiccazione e lavorazione delle foglie raccolte. La bevanda divenne sempre più comune e documenti risalenti al 476 d.C. attestano che panetti pressati di tè erano scambiati con altre merci tra cinesi e turchi. Si iniziano a produrre servizi da tè in ceramica, argento ed oro. 
Durante la dinastia Tang (618-906) il tè era una bevanda molto diffusa: si parla di “età dell’oro” del tè. Venne sviluppato un elaborato cerimoniale che regolava sia la produzione che il servizio del tè; la coltivazione del tè aveva delle rigide regole con precise disposizioni su chi potesse raccogliere i germogli e le foglie, quando andassero raccolti e come; c’erano severe disposizioni su come trattare le foglioline raccolte, sulle regole igieniche da seguire. Addirittura le raccoglitrici dovevano seguire una particolare dieta che evitasse loro di alimentarsi con aglio, cipolla e spezie che potevano trasferirsi alle foglie manipolate, trasmettendo aromi sgradevoli alla bevanda che si sarebbe preparata. 
In tale periodo lo scrittore Lu Yu (773-804) compose il primo libro sul tè: il Cha Chang (La Sacra Scrittura del Tè). Sotto la dinastia Tang la foglioline appena raccolte venivano appassite col vapore, poi pressate e mescolate con succo di prugna. Il composto così ottenuto era versato in stampi e se ne ottenevano panetti che venivano essiccati sul fuoco. Il panetto veniva successivamente tostato e ridotto in polvere bollita in acqua per ottenere finalmente il tè. Questo era aromatizzato con cipolla dolce o zenzero, scorza di arancio, chiodi di garofano o menta; in alcuni casi si aggiungeva del sale. 
Sotto la dinastia Song (960-1279) si sostituirono gli aromi aggiunti all’acqua con un’aromatizzazione del tè ad opera di oli essenziale di gelsomino, loto e crisantemo. Il tè si preparava frullando la polvere derivante dalla macinazione dei panetti esiccati con dell’acqua bollente; finito il tè si aggiungeva altra acqua e si ri-frullava, ripetendo l’operazione fino a sette volte. 
Con la dinastia Ming (1368-1644) i panetti di tè prodotti come sopra descritto vennero sostituiti da tè verde in foglie sciolte, cotte al vapore ed essiccate. Il processo era più rapido tuttavia il tè perdeva prima aroma e gusto. Per conservare meglio il tè, una volta che il commercio con l’Europa si sviluppava, i coltivatori cinesi svilupparono il tè nero ed il tè profumato ai fiori: si tratta sempre della stessa pianta (le foglie della Camellia sinensis pianta sempreverde della famiglia delle Camelie) le cui foglioline sono lasciate appassire all’ombra; quindi diventano morbide per poter essere arrotolate e confezionate in blocchi. I blocchi di tè vengono srotolati in un luogo freddo e umido per un periodo di tempo variabile tra le tre ore e mezzo e le quattro ore e mezzo: a contatto con l’aria assorbono ossigeno e si verifica la reazione chimica di ossidazione che fa colorare le foglie da verde a rosso ramato; quindi si cuociono al fuoco (l’essiccazione tradizionalmente avveniva in grosse padelle messe sulla fiamma viva mentre adesso si fa passare il tè in condotti di aria calda o in forni caldi) per bloccare il naturale processo di decomposizione ed a questo punto diventa nero assumendo l’odore caratteristico del tè. 
I tè aromatizzati si ottengono aggiungendo alla base di tè verde o nero gli aromi: boccioli interi di gelsomino, petali di rose, oli essenziali di frutta si aggiungono per ottenere rispettivamente il tè Jasmine, il tè alle Rose (ad es. Rose Pouchong o Rose Congou), tè agli agrumi come ad es. il famosissimo tè al bergamotto (Earl Grey).

Jane PETTIGREW, Tè. Guida al tè di tutto il mondo, Idea Libri editore, 2000


Lo sapevi che...
L' Earl Grey è una varietà di tè aromatizzato con l'olio estratto dalla scorza del bergamotto. Il Citrus bergamia o bergamotto è un agrume che viene prodotto solamente in Calabria, da dove partono esportazioni dirette verso tutto il mondo!


La storia giapponese riporta che nel 729 d.C. l’imperatore Shomu abbia servito del tè a monaci buddisti; a quell'epoca non si coltivava ancora tè in Giappone, pertanto doveva trattarsi di foglie importate dalla Cina.
Fu il monaco Dengyo Daishi ad importare i primi semi della pianta del tè in Giappone; egli infatti aveva vissuto per un lungo periodo in Cina (803-805) e tornato in Giappone, piantò i preziosi semi nella terra del suo convento. Cinque anni dopo servì il primo tè all'imperatore Saga che apprezzò molto la bevanda e promosse la coltivazione del tè in varie province vicino alla capitale.
Le tensioni profonde tra Cina e Giappone nei secolo IX-XI portarono al bando del tè, considerata bevanda tipica cinese, dalla corte giapponese. Tuttavia si conservavano coltivazioni all'interno dei conventi buddisti ove il tè era di ausilio per restare svegli e concentrati durante le lunghe meditazioni.
Rappacificatisi le due nazioni, agli inizi del XII secolo il monaco giapponese Eisai si recò in Cina ed importo nuovi semi e l’uso di bere tè verde in polvere con tutto il complesso rituale insegnatogli dai monaci della setta buddista cinese Rinzai Zen.
Da allora in Giappone si è sviluppata ed evoluta autonomamente una complessa cerimonia, chiamata Cha-no-yu (Cerimonia del tè giapponese), che prevede un preciso codice di comportamento volto a creare una tranquilla atmosfera di interludio durante la quale sia il padrone di casa che gli invitati tendono alla rinascita spirituale ad all'armonia con l’Universo. 


Tutti i precetti della filosofia giapponese sono racchiusi nella Cerimonia del tè: i principali valori dell’armonia (con l’altro e con la natura), il rispetto per il prossimo, la purezza del cuore e della mente e la tranquillità trovano espressione nel complesso cerimoniale. La Cha-no-yu, che può durare sino a quattro ore, si tiene in un’abitazione privata (in una stanza dedicata) oppure in una casa da tè. 
Jane PETTIGREW, Tè. Guida al tè di tutto il mondo, Idea Libri editore, 2000

giovedì 9 maggio 2013

Simboli e cucina

Grazie al suggerimento del professor Marchis, oggi ho fatto una serie di ricerche sul web alla ricerca dei simboli che caratterizzassero la cucina.
Insieme ai più noti

 

ne ho trovati alcuni altri che forniscono istruzioni per quanto riguarda l'uso di pentole


oppure che danno informazioni sui materiali che compongono alcuni oggetti


o ancora simboli che illustrano i diversi tipi di cottura che possiamo scegliere per il forno...



Insomma, avreste mai detto che siamo quotidianamente circondati da simboli di cui, molto spesso, non conosciamo neanche il significato o, addirittura, di cui ignoriamo l'esistenza?

Tè e tradizioni


Il tè è sicuramente una delle bevande più antiche e consumate sulla terra, con un'origine che si può far risalire a cinquemila anni fa, tipica della tradizione cinese e giapponese.



Il primo che fa menzione storicamente il tè in Occidente è Giovan Battista Ramusio (segretario del Consiglio dei Dieci della Repubblica di Venezia) nelle cronache Navigationi et Viaggi, redatte nel 1559.
Probabilmente furono i portoghesi a far conoscere la bevanda in Europa, ma la prima importazione di cui si ha traccia è quella della Compagnia Olandese delle Indie Orientali.
All'inizio i principali consumatori di tè furono olandesi e francesi, ma con il tempo e grazie al superamento di quelle teorie secondo le quali era dannoso per la salute, esso cominciò a diffondersi e ad essere consumato in tutta Europa.
Adesso, nell'immaginario comune, il tè è associato all'Inghilterra e al loro celebre rito del "tè delle cinque". Quello che molti non sanno è che il primo locale che servì questa bevanda in Inghilterra fu la caffetteria di Thomas Garway nel 1657. La Compagnia inglese delle Indie orientali prese ad importarlo a partire dal 1669 e durante il secolo successivo il tè divenne il principale protagonista dei traffici inglesi con l'Oriente.
Con il passare del tempo il consumo di questo infuso in Gran Bretagna crebbe moltissimo insieme all'interesse per gli usi Orientali: le donne portavano sempre più spesso abiti di cotone alla stregua dei giapponesi e le porcellane provenienti dal Giappone finemente decorate erano l'oggetto del desiderio di molti.

Grazie all'introduzione nelle fabbriche di cotone della spinning jenny, una sola persona è in grado di filare fino a sedici fili contemporaneamente: questa macchina consente la nascita della produzione di serie e dell'intenso lavoro di fabbrica. Gli operai, infatti, lavoravano fino a quattordici ore al giorno e, così come succede oggi, anche a loro erano concesse delle pause per il ristoro. La maggior parte delle volte queste pause consistevano nel bere del tè caldo.
Le tazze all'interno delle quali veniva versata la bevanda, tuttavia, non erano di porcellana come quelle dei nobili e borghesi, ma di terracotta. Questo materiale, a differenza della porcellana, non sopporta bene il calore e, dunque, succedeva spesso che le tazze si rompessero quando veniva servito il tè bollente. Per questo motivo gli operai presero l'abitudine di versare del latte freddo all'interno della tazza e solo in seguito servire l'infuso. Questo uso, dettato dalla necessità, col tempo si è trasformato in una vera e propria tradizione che ancora oggi continua a caratterizzare gli inglesi!



Generalmente il celebre "tè delle cinque" viene accompagnato con semplici dolci e tartine (Low tea), ma può anche accadere che questo rito si trasformi in un vero e proprio pasto, che sostituisce la cena (High tea).

Le manche più antiche e famose che importano e producono le miscele (blend) sono la Twinings e la Fortnum and Mason's, che hanno sede a Londra. Altre marche inglesi celebri sono la Lipton, la Whittard e la Harrods.


domenica 5 maggio 2013

La cucina nei fumetti

Quando ero bambina ho letto per lungo tempo fumetti. Curiosando un po' sul sito <http://www.coverbrowser.com/> e inserendo la parola chiave "Kitchen" ho ritrovato alcuni dei personaggi a me cari.


 


In particolare mi è venuto in mente il personaggio di Nonna Papera e le sue immancabili torte.


In questo disegno ne è stata rappresentata una che, casualmente, è anche la mia preferita: la crostata. In questo caso suppongo si tratti di una crostata ai mirtilli, perciò ho deciso di pubblicarne di seguito la ricetta.

Ingredienti per la pasta frolla:
300 gr di farina;
2 uova;
150 gr di zucchero;
100 gr di burro;
1 buccia grattugiata di un limone;
1/2 bustina (circa 8 gr) di lievito in polvere;
1 bustina di vanillina.

Ingredienti per la farcitura:
400 gr (circa) di marmellata di mirtilli;
Mirtilli freschi (q.b).

Per preparare la pasta frolla mettete la farina, un pizzico di sale ed il burro appena tolto dal frigo, quindi ancora freddo, nel mixer. Frullate il tutto fino ad ottenere un composto dall'aspetto sabbioso e farinoso; ora aggiungete lo zucchero.Quindi, formate con il composto ottenuto la classica fontana nel cui centro verserete l'essenza di vaniglia (se non trovate l'essenza o i semi di vaniglia usate una bustina di vanillina) e i tuorli. Amalgamate velocemente il tutto fino ad ottenere un impasto compatto ed abbastanza elastico.
Formate con l'impasto ottenuto una palla, avvolgetela con della pellicola trasparente e mettete il tutto a riposare il frigo per almeno mezz'ora.
Passata la mezz'ora, la vostra pasta frolla sarà pronta per essere stesa ed utilizzata.
Per rendere la pasta frolla più morbida potete aggiungere all'impasto un pizzico di lievito o bicarbonato, anche se la ricetta originale non lo prevede!

Trascorso il tempo necessario per far rassodare la pasta frolla, stendetene 2/3 con un mattarello  (tenete da parte 1/3 di frolla che vi servirà per realizzare le classica decorazione a griglia) e arrivate allo spessore di 3 mm:  posizionatela in una teglia del diametro di 24 cm, quindi con i rebbi di una forchetta bucherellate il fondo della crostata e stendete 100 gr di confettura ai mirtilli. 
Lavate con cura i mirtilli freschi e disponeteli lungo tutto il diametro della tortiera; una volta terminata l'operazione coprite con la restante marmellata.
Stendete la pasta frolla tenuta da parte e con una rotella dentellata, ritagliate le strisce di pasta che vi serviranno per formare la classica decorazione a griglia della crostata. Spennellate le strisce di pasta con un pennellino intinto in un uovo sbattuto.
Infornate la torta in forno statico già caldo a 180 gradi per 50-60 minuti. Una volta cotta, lasciatela raffreddare e quindi sformatela delicatamente mettendola su un piatto da portata e cospargendola con una spolverata di zucchero a velo.


Eventualmente, se preferite, potete farcire la vostra crostata con della crema pasticcera, invece che con della confettura di mirtilli e ricoprirla di mirtilli freschi invece che con le striscioline di pasta frolla.
Ecco di seguito la ricetta per la crema pasticcera; il resto della ricetta rimane invariato.

Ingredienti per la crema pasticcera:
1/2 litro di latte fresco;
6 tuorli di uova;
200 gr di zucchero;
100 gr di farina;
1 bustina di vanillina.

Per preparare la crema pasticcera ponete sul fuoco una casseruola capiente con il latte (tenendone da parte circa mezzo bicchiere), portate a leggera ebollizione il tutto, quindi togliete la casseruola dal fuoco e lasciate raffreddare.
In una terrina a parte lavorate i tuorli con lo zucchero, aiutandovi con uno sbattitore elettrico: dovrete ottenere una crema spumosa e biancastra. Continuando a sbattere unite a filo un terzo del latte tiepido contenuto nella casseruola, poi incorporate la farina setacciata, unendola poco alla volta. Versate il composto di uova, farina, zucchero e latte nella stessa casseruola. Rimettete il tutto sul fuoco e portate ad ebollizione, mescolando frequentemente. Per profumare la crema potete usare anche una scorza di limone, che toglierete dopo l’infusione oppure qualche goccia di liquore per dolci. 
Affinché il composto si addensi lasciate sobbollire a fuoco dolce per qualche minuto, continuando a sbattere con la frusta per evitare che si formino grumi. Prendete ora il mezzo bicchiere di latte freddo che avevate tenuto da parte e unitelo a filo alla crema pasticcera, mescolando di tanto in tanto. Spegnete il fuoco e lasciate raffreddare: la vostra crema pasticcera è pronta.
Per evitare che si formi una "pellicola" in superficie mentre la crema si raffredda, copritela con un disco di carta forno oppure coprite la terrina dove è contenuta con un canovaccio inumidito, o, ancora, potete mettere sulla superficie della crema qualche fiocchetto di burro.



La gastronomia sui francobolli

Questa mattina ho pubblicato un articolo sull'olio e il vino.
Successivamente mi sono imbattuta in un sito internet (<http://www.francobolli-italia.it/>) nel quale è possibile visualizzare tutti i francobolli italiani dal 1956 fino ad oggi.

Ovviamente ho cercato francobolli che avessero come immagine qualcosa che avesse a che fare con l'argomento del mio blog e guardate cosa ho trovato:



Proprio un francobollo del 2005 su cui era rappresentata l'uva!
Eccone di seguito un altro che raffigura delle spighe di grano, sempre datato 2005.



sabato 4 maggio 2013

Come e dove si fa?

Oggi ho deciso di incentrare l'argomento di questo post su due prodotti tipici della mia regione, la Puglia: l'olio e il vino.  
Mi sono proposta due obiettivi per l'articolo di oggi: innanzitutto vorrei dare ai miei lettori un'idea dei  luoghi di produzione di vino e olio italiani e, in seguito, vorrei spiegare quali sono le tecniche per estrarre da olive e uva, rispettivamente, olio e vino. 




Forse non tutti lo sanno, ma la vite è una pianta davvero molto antica che, tuttavia, solo sumeri, egizi e greci cominciarono a sfruttare per produrre vino. Già durante l'Impero Romano a Roma circolavano circa centoquaranta tipi di vino: la vastità del regno di Roma era talmente grande che esso proveniva da ogni dove. Dopo la caduta dell'Impero, il vino e la vite subirono una grave involuzione e resistettero bene solo all'interno dei monasteri; fu grazie a Carlo Magno che il vino conobbe un nuovo splendore.
La vite non ha mai avuto grossi problemi di coltivazione fino a che, circa duecento anni fa, arrivarono dall'America dei parassiti (fillossera, che attacca le radici della pianta, la peronospora e l'oidio, che attaccano foglie e grappoli) che fecero temere il peggio: l'estinzione della vite europea.
Fortunatamente adesso, grazie agli sviluppi della chimica, si sono trovati rimedi efficaci contro questi parassiti: prodotti a base di rame per la peronospora e di zolfo contro l'oidio.
Attualmente l'Italia è il primo paese viticolo del mondo e l'Europa detiene l'80% della produzione mondiale del vino. Il motivo principale è, probabilmente, legato al clima: la vite, infatti, può vivere e fruttificare solo dove esistono le  quattro stagioni.
Ogni anno la vite, quando è a riposo vegetativo, deve essere potata per ottenere una buona produzione sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Dal tipo di potatura, dal numero di piante per ettaro e dal tipo di vigneto dipende in gran parte la qualità e la quantità dell'uva. 
I sistemi di potatura sono di diverso tipo e variano a seconda dei fattori climatici e del tipo di vigneto. Nei climi ed ambienti più consoni alla coltivazione si cerca, dopo un'adeguata potatura, di avere dalla pianta la massima espansione vegetativa (non dimentichiamo che più vegetazione c'è più è accentuata la fotosintesi clorofilliana e più zucchero ci sarà nell'acino).
Il tralcio si pota più o meno corto a seconda dell'uva che si vuole produrre: più gemme avrà il tralcio, più uva produrrà la vite, più scarsa sarà la qualità. 
L'esposizione migliore che la vite può avere è quella a sud est (per un ovvio motivo di esposizione al Sole) ed in collina. Le piantine (denominate barbatelle quando vengono acquistate in vivaio prima di essere piantate) cominciano a produrre intorno al 3° o 4° anno di età; raggiunto il 6° anno si ottiene già un'ottima produzione. Il ciclo della vite dura fino ai 30 anni: dopo conviene estirpare il vigneto, far riposare il terreno qualche anno e reimpiantare.
In primavera la vite ricomincia a vegetare ed in seguito ci sarà la fioritura a cui segue la formazione di piccoli grappoli (allegagione).Prima dell'estate noteremo i grappoli già formati e verdi, mentre in piena estate c'è la fase dell'invaiatura dove l'acino, per dilatazione cellulare, si ammorbidisce e prende il colore (giallo o rosso) dalla buccia. 
Il momento della raccolta dipende molto dal vino che si vuole ottenere: se si deve produrre uno spumante la raccolta sarà leggermente anticipata per avere una quantità di acidi superiore nell'uva, man mano che l'uva diventa matura diminuiscono gli acidi e crescono gli zuccheri; al bilanciamento considerato ottimale si raccoglie l'uva.


Dato che non ho mai fatto esperienza della produzione del vino, ho trovato sul web una guida per produrlo in casa: http://www.vinostore.it/crea.php





Per quanto riguarda l'olio, invece, posso fare menzione di un'esperienza personale: qualche anno fa, infatti, sono stata "reclutata" da alcuni amici per andare a raccogliere le olive e farne olio.
Grazie alla tecnologia, disponiamo di un attrezzo, lo scuotitore, per mezzo del quale si riescono a fare cadere molto più velocemente le olive dall'albero. 




All'estremità inferiore dello strumento è posto un motore che mette in moto l'attrezzo stesso; l'estremità superiore, come potete vedere dall'immagine, termina a C: questa parte viene agganciata ad un ramo dell'albero e, dopo aver messo in moto lo strumento, grazie a movimenti dal basso verso l'alto, viene appunto scosso il ramo, che fa cadere sul terreno le olive.
Prima di cominciare con questa operazione, si dispongono sotto l'albero, dei grossi teloni sui quali si depositeranno le olive.
E' chiaro che alcuni frutti rimarranno appesi ai rami: per farli cadere dall'albero si usano una verga in metallo e dei pettini. Il primo serve per percuotere i rami, i secondi vengono utilizzati proprio per "pettinare" i rami e far cadere le olive più resistenti.
I teloni vengono spostati di albero in albero man mano che vi si fanno cadere le olive; una volta pieni si svuotano i frutti in dei sacchi che, colmati, verranno portati al frantoio che si occuperà di estrarre l'olio dalle olive.
Questa operazione finale è davvero breve: quando raccolsi le olive insieme ai miei amici, già il giorno dopo avevamo sulla nostra tavola l'olio appena prodotto.
In realtà, esso va fatto decantare per un po' di tempo e non va utilizzato subito perché ha un sapore molto forte e, si dice, non faccia molto bene. Tuttavia il buon lavoratore sa che il frutto della sua fatica non può che avere il sapore più buono del mondo!